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Big Data

Uso dei big data in azienda

Il mercato dei big data vale più di 2 miliardi di euro in Italia, con una crescita annuale del 20%. Nonostante questi numeri e nonostante la grande attenzione rivolta verso l’innovazione tecnologica, solo il 15% delle grandi aziende utilizza il patrimonio di informazioni cui ha accesso. Di questo 15%, inoltre, neanche la metà riconosce ai dati un ruolo fondamentale nelle decisioni strategiche.

Siamo lontani, dunque, dal compiere un corretto e proficuo utilizzo dei big data.

Ma come è possibile raggiungere questo obiettivo?

Innanzitutto, bisogna cominciare da un cambio di rotta a livello culturale.

Quanto detto finora, in effetti, è emerso dagli ultimi risultati presentati dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano, durante un convegno dal titolo “Data-driven culture: connettere algoritmi e persone”, svoltosi a Milano lo scorso novembre.

Il Data Strategy Index

Alla survey del Politecnico hanno risposto 578 imprese, 1.001 lavoratori e 712 start-up. Queste realtà sono state catalogate attraverso un indice di maturità complessivo denominato “Data Strategy Index”.

Il “Data Strategy Index” comprende tre ambiti:

  • Data Management & Architecture: strumenti, competenze e processi per la gestione tecnologica, integrazione dei dati e governo del patrimonio informativo;
  • Business Intelligence e Descriptive Analytics: strumenti e competenze di base per una Business Intelligence pervasiva;
  • Data Science: insieme di attività che contemplano analisi predittive e di ottimizzazione a partire dall’analisi dei dati.

La classificazione delle aziende

Sulla base delle valutazioni effettuate, il panorama delle realtà produttive italiane si suddivide in cinque categorie di aziende: avanzate, intraprendenti, prudenti e immature.

Le aziende intraprendenti, ovvero il 30% del panel, sono realtà che hanno già sviluppato una buona esperienza con gli advanced analytics ma lamentano alcune carenze dal punto di vista della gestione del patrimonio informativo.

Le prudenti, ovvero il 22% del panel, sono organizzazioni che hanno approcciato in maniera parziale o stanno per approcciare l’utilizzo della Data Science.

Infine, per le aziende immature (18%) o ai primi passi (15%), la priorità rimane il consolidamento dell’attività di business intelligence, ossia il completo superamento dell’utilizzo di fogli elettronici e l’introduzione pervasiva di strumenti di data visualization e reporting avanzati.

Big data: gli ostacoli per lo sviluppo di una cultura data driven

Certamente emerge il grande interesse sviluppatosi in tema di data science ma ciò non corrisponde ad un alto indice di maturità effettiva in termini di data-driver culture.

Allora viene spontaneo domandarsi quale sia il maggior ostacolo che impedisce lo sviluppo della realtà attuale.

Sicuramente, tra i maggiori ostacoli c’è quello costituito dalla difficoltà di reperire personale altamente specializzato su gestione e analisi dei dati. 

Basti pensare che l’88% delle aziende non ha una figura executive di riferimento a cui è attribuita la responsabilità dei dati.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che, all’interno delle aziende, tutti i dipendenti dovrebbero essere informati e formati sull’importanza dei dati e su come questi andrebbero gestiti.

Questo purtroppo non avviene nella maggior parte del casi bloccando, di fatto, la diffusione della cultura del dato.